Dove c'è musica di devozione, Dio è sempre a portata di mano con la sua presenza gentile (J. S. Bach)
1 8 4 5, l’ A n n o d e l l a F u g a :
l’ o p. 6 0 d i R o b e r t S c h u m a n n
L a r i s c o p e r t a d e l l a f u g a
Nel 1838 Schumann studiò in modo molto approfondito il Clavicembalo ben temperato di Johann Sebastian Bach giudicando la maggior parte delle fughe "pezzi di carattere di altissima specie, come disegni genuinamente poetici, ognuno dei quali richiede la propria espressione, le proprie speciali luci ed ombre". Fino ad allora si era occupato di fughe soltanto nel contesto dei suoi primi studi di composizione, e la stessa cosa riguardava anche i suoi compagni di scuola di quei tempi.
La fuga rigorosa era considerata solamente a livello di esercizio pratico ma non come oggetto della moderna composizione. I compositori romantici avevano parecchie difficoltà a comporre le fughe con abilità artistica, in quanto la fuga veniva di regola trattata con secco razionalismo e considerata alla stregua di una mera collezione di vuote formule, sembrando a loro inadatta a descrivere poetici stati d’animo. Le uniche eccezioni furono soltanto le fughe di Bach, ma anche probabilmente quelle di Haendel e forse di Beethoven. La revisione di Schumann nel 1837 delle Fughe per pianoforte op. 35 di Mendelssohn, riflette chiaramente questa presa di posizione. Schumann affermò che Mendelssohn, praticamente suo coetaneo, aveva spiegato chiaramente il giusto percorso verso il recupero e il ripristino della forma della fuga. Questa via consisteva nell’evitare "tutti quegli infelici, inutili artifici compositivi e imitazioni, assegnando maggiore predominanza all’elemento melodico e all’aderenza alla forma bachiana".
Schumann, recensendo i Preludi e Fughe op. 35 di Mendelssohn, disse di ritenere particolarmente efficaci quelle situazioni in cui la fuga sembra confondersi con la Romanza senza parole, facendo dimenticare il riferimento alla forma richiamata nel titolo. L’affermazione indica che il miglior modo per rievocare lo spirito di Bach poteva solo consistere nel cercare di camuffarne la sua arte contrappuntistica all’interno di composizioni ormai libere dai vincoli formali della fuga, manifestando in questo modo la piena condivisione dei suoi ideali estetici e poetici. Per Schumann, addirittura, bisognava saper leggere quanto di bachiano vi fosse in Chopin e viceversa, evitando di farsi confondere dalle vaghe indicazioni contenute nel titolo delle loro composizioni o nelle delimitazioni formali di appartenenza.
Non c’è pertanto da stupirsi, nella citata recensione, quando si legge quale compiacimento nasconda la rievocazione da parte di Schumann dell’episodio del buon conoscitore di musica che scambia una fuga di Bach per uno studio di Chopin: per lui, un simile errore non aveva fatto altro che rendere onore ad entrambi. È per questo che egli non voleva rievocare i principi formali delle fughe di Bach, ma il loro carattere sostanziale, cercando di sfruttarlo per realizzare composizioni anche formalmente e musicalmente molto lontane. Pur tenendo in altissima considerazione l’individuazione della massima espressione di quel senso del poetico, del caratteristico e del combinatorio di cui sono dotate solo le composizioni più elevate, Schumann riteneva che la fuga ideale fosse sempre quella che "gli ascoltatori scambiano per un valzer di Strauss e le cui radici rimangono coperte come quelle di un fiore".