Il Vangelo della domenica
(14 settembre 2008)
(Gv 3,13-17)
Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo.
+ In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il
Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna
che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia
la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo,
ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Al centro di questa domenica, sta la Croce. Nell'antichità era il segno di una condanna massimamente umiliante e di dolore unico, riservata agli ultimi e agli schiavi. Solo il cittadino romano ne era esente. Gesù subirà proprio questo infame supplizio. Ma sarà "quella" croce il segno delle definitiva vittoria su tutto, compresi peccato e morte. "Quella" croce sarà, misteriosamente, un trono di gloria, un richiamo di perdono e grazia sulla parola di Cristo: "Quando sarò elevato, attirerò tutti a me".
Oggi, guardando con occhi nuovi e pentiti a quel legno santo, siamo chiamati a ripensare a tutto il dolore del Maestro, a quell'infinita amarezza, alla solitudine straziante della sua anima. E a quel sangue, versato per noi fino all'ultima goccia. Il soldato che colpirà con la lancia il costato del Signore, vedrà con stupore che ne esce sangue e, poi, acqua.
Con Paolo, dovremmo cantare nel cuore e testimoniare nella vita che "noi ci gloriamo solo della Croce del Signore nostro, Gesù Cristo". Da questa "gloria" scoperta e creduta, ce ne viene vita, salvezza, resurrezione.
La croce di Cristo dà luce alle nostri croci. Non le cancella: le fa diventare sorgenti di bene, come la sua. Bella una brevissima e bellissima preghiera di un vescovo che potremmo fare nostra: "Cristo crocefisso: insegnaci e donaci la forza di chiamare con il nome della tua santa croce, il nostro dolore".
Non dimentichiamo, infine, coloro che, forse, vicino a noi, portano croci dure e pesanti. Preghiamo convintamente di voler essere dei cirenei pronti ad aiutare e sollevare. Di non somigliare a quel sacerdote e levita, raccontati da Gesù, che pur avendo visto un uomo ferito e percosso, passano oltre.
Che ci fermiamo, invece, colmi di pietà presso il fratello carico della sua croce e lo ungiamo con l'olio della nostra tenerezza, e lo fasciamo con le bende della nostra umile carità.
Gualtiero Sollazzi