Dove c'è musica di devozione, Dio è sempre a portata di mano con la sua presenza gentile (J. S. Bach)
Madre non mi far monaca:
una Monica che non vuol farsi Monaca,
una Melodia profana che vuol farsi Melodia sacra
P r e m e s s a
Nella musica cosiddetta “colta” l’introduzione di elementi di origine popolare ha sempre rivestito un ruolo di notevole importanza.
Lo testimoniano le innumerevoli variazioni su arie tradizionali che sono state composte in ogni epoca e per ogni strumento, diventate famose proprio grazie alla riconoscibilità dei temi popolari che, come in una forma di gioco, venivano ricercati all’interno delle composizioni “importanti”. Anche l’adozione di particolari ritmi e scale modali di origine popolare ha avuto una parte considerevole nell’evoluzione della scrittura musicale del ‘900.
Lo stesso Robert Schumann considera la melodia popolare un tesoro prezioso dal quale attingere, ribadendo così la bellezza insita nella freschezza, naturalezza, immediatezza nonché spontaneità di quel repertorio.
Nel campo specifico della musica ad uso della Chiesa si assiste, fin dall’inizio, ad una progressiva contaminazione tra musica sacra in senso rigoroso e composizioni in origine scritte a scopo non liturgico.
Questo perché, grosso modo dopo il Rinascimento, la Chiesa cattolica non riuscì più ad individuare un valido veicolo musicale che permettesse la comunicazione e la partecipazione dei fedeli.
I protestanti, invece, individuarono questo tramite nella forma del Corale.
Le melodie dei corali consistevano spesso in rielaborazioni di corrispondenti brani del repertorio gregoriano cattolico e dell’uso liturgico antico, ma molto frequentemente derivavano anche da canzoni popolari profane.
A tal proposito, per giustificare questa scelta, Martin Lutero diceva che “non bisogna lasciare la bella musica al diavolo”.
Inoltre, fatto questo di primaria importanza, le nuove melodie riformate utilizzavano la lingua nazionale tedesca, che permetteva la comprensione immediata di ciò che si cantava da parte di tutti; invece il latino, che rimarrà ancora per moltissimi anni la lingua della liturgia cattolica, già dal X secolo circa era ormai divenuto incomprensibile alle popolazioni europee.
Grazie a queste scelte musicali, Lutero poteva, senza quasi nulla inventare, basarsi su una tradizione già consolidata nell’ambiente colto e in quello popolare per organizzare la nuova liturgia; era forse la strada più diretta, visto che non era neppure pensabile che il popolo fosse in grado di intonare il difficile canto gregoriano.
Da qui la continua oscillazione tra l’imposizione rigorosa di strutture linguistiche desuete e refrattarie a qualsiasi tipo di rinnovamento e di evoluzione (il canto gregoriano, la polifonia “in stile antico” o “alla Palestrina”) e l’accoglimento di modi e forme di chiara impronta profana.
A dimostrazione di quanto sopra riportato, è stata presa in esame la melodia popolare conosciuta come “Aria della Monica”, che ritroviamo destinata all’ambito della musica sacra nella produzione tastieristica di vari paesi europei.
La presente trattazione non vuole né può essere esaustiva dell’argomento, che è vastissimo; si prefigge però di far emergere alcuni tratti singolari che affiorano dall’analisi dei brani scelti, significativi in riferimento alle caratteristiche di alcuni compositori e di alcune tradizioni europee.